CAB su Rambo in Costiera, foto Luca Dreos |
Il nostro super "Cab", Raffaele Tenaglia, ha salito "Two shoes fo dancing" (8a) a DarkPoint. Ecco cosa ha scritto nei momenti di riposo prima di riuscire a portarsela a casa:
"Due
scarpette per danzare
Ricorda
sempre perché scali e Cosa ami dell’arrampicata.
La
compagnia deve venire prima di tutto.
Gioisci
perché oggi puoi arrampicare.
Torna
a casa stravolto, ma contento. Libero da sovrastrutture.
Cerca
la danza. Rincorrila. Anche
sui riscaldi. Scala sul facile.
Non
fare cazzate.
Queste
sono le poche regole che mi do quando vado ad arrampicare; che sia
falesia, blocchi, a vista, lavorato. Indifferente.
In
una parola: armonia.
Ora,
c’è questo tiro. Questo Tuo tiro.
Che
mi ha stregato.
A
fine luglio ho accompagnato Toni perché voleva provarlo. Mi ha
spinto a farci un giro. A dirla tutta Ciano qualche anno prima mi ci
aveva messo su per scherzo ma arrivavo goffamente al terzo o quarto
spit ah ah ah un insaccato appeso.
Un
elegantissimo 7b/c seguito da un boulder secco e cattivissimo che si
presta a poche interpretazioni e nessun azzero.
Non
so. Ero lì le prime volte che – davvero – non avevo idea di come
passare.
Poi
in un giorno di bora tutti quegli svasi e quella maledetta cannetta
sempre bagnata si sono finalmente rivelati in una curiosa e dura
successione dinamica di prese e posizioni e, cosa non secondaria,
hanno tenuto il peso del vostro ciccioclimber agguerritissimo. Il
rebus era finalmente decodificato. Avevo una sequenza.
È
Incredibile, quando ti imbatti in certe concatenazioni non puoi non
credere che Dio non scali. E che oltretutto sia pure un boulderista
finlandese.
Purtroppo
già a inizio agosto devo tornare dieci giorni in Abruzzo dai miei
per i soliti problemi che ormai conosci.
Torno
qui in condizioni non troppo disperate.
Ho
però drammaticamente compreso la frustrazione di quegli
arrampicatori che sbroccano perché il loro project è condition
dependent.
Il
mio – senza nulla voler togliere alla tua opera – non è chissà
che mostro, anzi per alcuni è poco più che un riscaldo, ma quella
cazzo di cannetta è sempre bagnata. Appena si fa umido oppure piove,
piscia acqua che è un piacere.
A
maggio mi ero fatto molto male al dito (puleggia e poi tendine) per
cui sul tiro mi ci metto con la gioia e la spensieratezza di chi non
ha nulla da perdere e che, contro ogni previsione, può addirittura
già rimettersi a tirare un po’.
E
poi la storia dietro il nome da sola basta…
“Farò
un po’ di resistenza” mi dicevo. Non amo il Baratro, per cui in
estate o scalo qui o vado a far blocchi a Trnovo o Val Trenta.
Ripromettendomi continuamente di andare a Felbertauern…senza mai
riuscirci.
Sul
lavoro è dura. Non faccio vere ferie da non ricordo più quando. Non
ce la faccio. È stato un anno duro. Mollo il colpo.
Decido
di prendermi una settimana di pausa.
E
con tutta la pazienza di Beatrice me ne vado in Val Daone.
Cinque
giorni, e non ha mai piovuto.
Gli
do di ClimbOn come non ci fosse un domani.
Va
anche piuttosto bene. Arrivo fino al 7A bloc, che per una loffa come
il sottoscritto non è affatto male, un po’ di 6C+ e 6C, qualcosa
anche flash (merito di youtube). Cerco di non lavorare troppo i
blocchi. Ho troppa voglia di scalare tutto in questa valle.
Il
posto è un incanto. Lo conoscete tutti.
Torno
con un massimale frizzantissimo ma esausto. D’altronde fra le ferie
e il week end prima sono 9 giorni di fila che scalo.
Un
sogno che finalmente si avvera!
Magico.
Scalare
libero, senza timer. Quando vuoi. Quando hai voglia (quindi sempre!)
Senza
i giorni contati del solo sabato e/o la sola domenica.
Non
mi stancherei mai di far blocchi su granito (se non fosse per la
pelle).
In
palestra invece dopo cinque minuti mi abbruttisco. Divento un musone
insopportabile ah ah ah. Sono ridicolo, lo so. Non so perché, ma so
che dovrò iniziare a lavorarci su. Probabilmente la vivo più come
“fitness” che come arrampicata vera e propria…e a me la
ginnastica fa cacare, da sempre. Non so, vedremo quest’inverno. Ci
proverò, promesso.
Bene,
torno sul tiro e - con gioia pura - cado alla zappa finale. Quella a
destra della catena. Quella dalla quale si moschetta. Due volte di
fila. Il blocco e il tiro passano lisci fino al lancione finale!
Ottimo! Ora comprendo quello che mi diceva Sandra:
- guarda che il tiro lo puoi fare!
E
io che credevo che me lo dicessi solo perché ti facevo pena!
Ora
ci credo. Dio benedica il boulder.
Torno
a casa e mi regalo una cenetta in relax solitario a base di sashimi e
film. Bea è da amiche (o da Abdul, chissà).
La
stessa notte non dormo. Non riesco a prendere sonno. Non chiudo
occhio. Sono emozionatissimo. Ci penso di continuo. Rompo le palle a
Bea tutta la notte con il racconto del tiro:
- Ma ti rendi conto?! Cado in catena!!!potrei farcela!!!
- Ti prego lasciami dormire idiota!
…salvo
non arrivi qualcuno a dire che il grado è dubbio, il passo è morfo
e bla bla bla (chiacchiere da bar sdoganate alla verticale; era
fuorigioco, non era fuorigioco, c’era il rigore, l’arbitro è un
venduto). Chissenefrega, il
tiro è il mio limite attuale. E questo vale più di qualunque
numero.
La
fatica e l’impegno dispensato bastano (o dovrebbero bastare) a dare
una “misura” della persona. Se proprio dovesse esser necessario
piegarsi alla logica distorta e diffusa sui gradi.
Credo
piuttosto che l’arrampicata si riveli al massimo nella sua
dimensione umana, prima ancora che in quella atletica. Migliorare
attraverso la fatica; scoprire parti inesplorate di se stessi. Anche
nella sua variante sportiva/falesistica questa componente, sebbene
con sfumature tutte sue, c’è ed è forte. Almeno io la sento tale
e sento che mi trascina con sé.
La
mattina mi alzo dal letto stanco ma con un unico pensiero: agguantare
e stritolare quella cavolo di zanca. Mollare i piedi, portarli in
orizzontale a una tacchetta fuori a destra, lontana. Sghisare un
attimo. Passare la corda in catena.
Non
ho altri giorni.
Se
se ne riparlerà sarà fra una settimana, se va bene. E, soprattutto,
meteo permettendo.
Mi
preparo.
Pantaloni
nuovi che mi ha regalato Bea ad Arco pochi giorni prima (ormai il mio
unico paio di jeans puzzava talmente tanto che viaggiavamo a
finestrini aperti).
È
una meravigliosa domenica di sole, forse un po’ calda, sono
mentalmente già sotto il tiro. Oramai sempre più stanco ma con una
determinazione incredibilmente ferma e decisa.
Un
killer.
Arrivo
in dolina.
La
cannetta gocciola.
La
cannetta, ziocane, gocciola.
Non
può essere vero…
Stanotte
si è alzato vento da sud. In effetti c’è afa.
Ora
sorrido. ma sul momento ho bestemmiato pure le sacre scritture.
Si
vede che non è il momento.
Forse
non lo merito. Forse non sono pronto.
Sicuramente
non lo sono ancora “spiritualmente”.
Mi
piace credere che sia il destino o Le
Dieu Patrick che ancora una
volta vuole suggerirmi qualcosa e io sono ancora troppo ottuso per
comprenderlo, offuscato dalla mia brama “occidentale” di
“impossessarmi” di qualcosa (in questo caso il numeretto) con la
miope illusione dell’identificazione con essa, per poi – a
peggiorare ulteriormente il tutto – ostentarla con finta modestia.
Non
so.
So
solo che ora sono qui addirittura a scriverne tanto è forte il
desiderio. Perchè conservo ancora strozzato in gola quell’urlo;
che sia di gioia o di rabbia poco importa.
Quel
che conta ora è combattere.
E
combattere non significa necessariamente vincere.
In
un certo senso chiudere il tiro non è tutto, lo è invece il provare
a chiuderlo. Buttare il
cuore oltre l’ostacolo. Solo in questo modo avrò la coscienza a
posto: sapere di aver dato tutto. Senza alcuna riserva.
Come
dicevo a Sango: un conto è essere sconfitti, un conto è arrendersi.
Perché
le mani mi sudano. Perché non
ti sleghi mai.
Perché
la testa va altrove. Lontano da queste luci al neon, da questo grigio
ufficio, da questi libri enormi e colmi di esiti giudiziari di
litigi; vaga calma per i tranquilli boschi intorno a Sezana tagliati
in obliquo da quel sole ancora caldo di tardi pomeriggi di fine
estate. Ovattata da un tappeto di aghi di pino su della morbida terra
rossa. Dall’avvicinamento fatto veloce veloce. Con il fiatone.
Perché non vedi l’ora di provare la via.
Perché
il cd. lavorato dell’estate
è anche questo: esser pronti in qualunque momento, non mollare,
saper fallire e di nuovo tirarsi su per la corda fino all’ultimo
spit, ridere dei bingo-bongo, saper aspettare, saper aggredire ma
saper rinunciare, riconoscere i propri limiti ma anche le proprie
potenzialità. E poi crederci. Crederci sempre.
…e
spazzolare tacche!
Perché
alle volte, ma solo alle volte, aspettare, aspettare e poi aspettare
ancora un altro po’, dopo, alla fine e solo per un attimo, possono
davvero impreziosire una vita, alleggerendola, seppur di poco e
seppur per un brevissimo lasso di tempo, di tutte quelle difficoltà
e quelle ombre che ognuno di noi si porta dentro.
Perché
in fin dei conti questa è l’unica esistenza che abbiamo.
E
a noi spetta danzarci sopra.
Con
la nostra gioia…e le nostre scarpette.
Aleduro.
Grazie per il tiro."
Grazie a te CAB!!!
Grazie a te CAB!!!
Complimenti Cab! Sono molto contento per te! Grazie per averci reso partecipi del tuo pensiero con queste "poche" righe, sono anche io d'accordo che l'arrampicata in falesia non è solo una questione di prestazioni meramente sportive ma più un viaggio interiore...
RispondiEliminaTi auguro un buon proseguimento e adesso... avanti verso nuove avventure!
Kalamara alias Walter Perdan