Pubblico molto volentieri, dopo tanto tempo che non scrivo, un piccolo racconto su DarkPoint di un lettore affezionato. Piace che ci siano ancora persone che amano questo bellissimo gioco che è l'arrampicata e lo praticano con passione e devozione.
Buona lettura!
"Ho finalmente la tacca in mano. Arcuo.
Devo solo cambiar piede, un laterale accademico e tenere uno svaso.
Piedi precari. Gomito che tira. Dicono si chiami epitrocleite.
Ho saltato pure lo spit. Ragione in
più per andare feroce.
Ovviamente lo svaso mi scivola via.
Cadendo giù ho tutto il tempo per gustare il sollievo di una sicura
dinamica ben fatta, a smorzare il colpo e la paura. Spettacolo
bizzarro e singolare agli occhi di chi non ha mai provato ad aver
totale fiducia nell’altro. A mettersi in gioco e fallire.
“Bravo tigre! La prossima volta andrà
bene…” mi rincuora gentile ADM.
La prossima volta però sarà fra un
paio di settimane (meteo permettendo), penso. Sono anch’io uno
“schiavo salariato”.
Ma infondo poi non è l’attesa a
rendere preziose le cose?
L’arrampicata, entrata un paio d’anni
fa in punta di piedi e senza troppo credito nella mia vita, da circa
un anno ormai è una costante a volte invadente. Inizialmente è
stata un’occasione, un diversivo per ricostruire quel legame con la
natura reciso, immolato alle banali seduzioni di sterili abitudini
urbane.
Col tempo è diventata solitudine.
L’unica opportunità, insieme alla musica, per poter essere
pienamente se stessi, aggrappato al momento; incastrato com’ero in
una vita che volevo solo in parte e che per l’altra mi limitavo ad
aspettare.
In bilico su un desiderio inespresso.
Perfettamente sovrapponibile al divario vuoto fra vivere ed esistere.
E alla fine si è trasformata nella
rappresentazione granitica
dell’esistenza stessa. Con i sacrifici, le delusioni, l’impegno,
e solo raramente il raggiungimento dell’obiettivo prefissato.
Quell’attimo di piena pace, il tempo
di godere di quella silenziosa tregua che ti concedi fra un progetto
chiuso e un nuovo cantiere da aprire. Il tempo che passa fra passare
la corda in catena e la fine della calata. Sensazioni che possono
durare anche mesi nella tua mente, riscaldarti il cuore, farti sudare
le mani. Non importa il grado. O forse sì…
Pomeriggi di sole in cui tutto è
armonia. Scendi giù, tocchi terra e percepisci nitidamente quanto
c’è di solenne nell’essere nella natura con l’animo limpido,
le braccia stanche e lo spirito pieno. Gioire del sorriso di chi ti
teneva. Respirare lento. Adagiarsi in un sollievo. Il cuore rallenta.
Ma dura solo il tempo di girarti
nuovamente, scrutare curioso la parete…come fosse una prima volta.
Notare una linea, anche solo un colore.
Ti sleghi…ma non ti sleghi mai.
Sono certo che arrampicare mi abbia
reso una persona migliore.
Ma può renderti perverso. E basta
davvero poco. Occorre lottare anche in questo campo con le pulsioni
più basse dell’animo umano.
Non ci sono più sovrastrutture o
significati ma solo acido lattico ed emozioni da gestire. Spesso le
più brutte. I richiami della vanità, della banalità e dell’invidia
sempre in agguato.
Il modo migliore per non esserne
sopraffatti allora è allenarsi. Sudare. Tentare.
La fatica ricongiunge lo spirito al
corpo.
Per fortuna non si può mentire alla
pietra.
Credo sia per questo che non si parla
mai di successi, vittorie e sconfitte. Ogni volta che senti di aver
imparato qualcosa o aver fatto un minimo progresso - anche solo in
termini di barbara quotidianità spinta qualche centimetro più in
giù - ne esci migliore.
L’avversario esiste ed è il peggiore
che potesse capitarti: te stesso, in balia degli istinti più
primitivi; i tuoi limiti da piegare, ancora un altro po’, un po’
più in là, con la paura che questa volta non ti lasceranno passare;
che questa volta stai puntando troppo in alto; che la catena è
troppo in alto.
I tuoi demoni ti aspettano al varco,
pronti a ritrovar rinnovato vigore ad ogni presa sfuggita. Ad ogni
dito che non vuol saperne di arcuarsi.
C’è anche chi, come in una
profanazione, fa a pezzi la pietra pur di passare.
Ma poi il silenzio, la condivisione, la
grazia armoniosa e perfetta di un tramonto di fine giornata in
falesia; non voler essere da nessuna altra parte, accarezzare le dita
gonfie e stanche, secche di magnesio ed odorose di pietra; percorrere
al buio il sentiero di ritorno; sublimare il tutto in un sorriso.
Persino la rabbia, quella vera, quella
con te stesso, diventa un momento autentico. Ti è concesso persino
imprecare. Il bosco come uno scrigno è lì a proteggerti e ti
assolve, omaggiato di te che attraverso la fatica cerchi di
migliorare …La più nobile fra le aspirazioni umane.
Condividere un infuso allo zenzero
bollente quando fa freddo. O un sorso d’acqua in un appiccicoso
agosto di zanzare. L’amaca e la chitarra; che da sole basterebbero
in questo pomeriggio di alberi e di pietra. Dividere una mela.
Mi piace condividere l’arrampicata
con chi ama arrampicare.
Mi piace condividere la vita con chi
ama vivere."